giovedì 21 novembre 2013

Gentile Professoressa Carrozza

Gentile Prof. Carrozza,

se le parole che i giornali riportano sono davvero quelle da lei pronunciate che, per comodità, scrivo qua sotto virgolettate, lei è stata inaccettabilmente offensiva. Ma la cosa più importante è che lei sta utilizzando una strategia politica odiosa a coloro che hanno votato il partito in cui milita. e cioè di “populisticamente” attribuire a categorie “deboli” le responsabilità di una politica scellerata nei confronti della scuola prima e dell’Università poi.

Visto che è lei a parlare (a sproposito?) di onestà, il suo modo di agire è, se non disonesto, sicuramente scorretto. Lei, che non accenna a preoccuparsi del destino dei "giovani", non trova di meglio che mettere, l'una contro l'altra due categorie "deboli". Lei spera che i giovani non si accorgano che non è dove lei indica il problema delle Università: ma io, che ho maggiore fiducia di lei nei "giovani" (attenzione, sarebbe meglio chiamarli, "precari", a volte i precari hanno più di 40 anni) sono sicura che se ne accorgeranno.

Se ci fosse anche solo l’intenzione di sfruttare la “generosità” (mi scusi, ma l’onestà cosa c’entra?) di coloro che vanno in pensione ci sono alcune semplici cose che si potrebbero fare:

1. Per ogni pensionamento DOVREBBE essere assunto un ricercatore di tipo B (la logica vorrebbe due, ma ci contenteremmo), invece lei tralascia di dire che perchè un’Università acquisti il diritto di assumere un ricercatore deve mandare in pensione da 5 a 10 ordinari;

2. Ad ogni pensionato che accetta (per generosità) di continuare a fornire le proprie competenze (lei implicitamente ammette che ci sarà bisogno di queste competenze, perché sa che sta distruggendo, come i suoi predecessori, le Università pubbliche – non telematiche- riducendo al lumicino personale e servizi) DOVREBBE essere garantito l’utilizzo di tutti i servizi del Dipartimento, esattamente come prima del pensionamento (o lei sta pensando più che alla “generosità” alla vocazione al martirio – altrui naturalmente?).

Mi scusi, ma lei come fa a sapere se chi ha oggi 70 anni ha “avuto tanto da questo mondo”, con quel ”tanto” che ha l’aria di essere un “troppo”?

Viceversa, quello che vedo io è una persona di 49 anni (per inciso, nella generazione di mia madre lei sarebbe già insopportabilmente vecchia) che ha avuto moltissimo (troppo?). Ha avuto la possibilità di fare una brillante carriera rimanendo (cosa, come lei spero sappia, molto rara, non solo per i giovani, ma anche per quelli della sua generazione) SEMPRE nella città dov’è nata. Ha fatto TUTTA la sua carriera nella stessa Università dove erano (o sono) ordinari suo padre e suo fratello. Ha superato l’ultimo gradino approfittando (non certo generosamente, se pure si vuole ammetterne l’onestà) di un concorso presso un’Università telematica dove non ha mai (ingenerosamente) lavorato.

Dato il suo curriculum, la supponenza con cui tratta persone che hanno fatto la storia della cultura italiana è una cosa, questa sì, che ci offende e di cui dobbiamo vergognarci. Lei non sa di chi sta parlando.

Cara Prof. Carrozza, se tutti i 50enni sono come lei (cosa che io auspico non sia vera) teniamoci i 70enni. E già che ci siamo, lei, nella sua infinita onesta generosità, a quali dei suoi privilegi sta rinunciando, di grazia?

Cordialmente


Carrozza: “A 70 anni i professori universitari, se fossero generosi e onesti, dovrebbero andare in pensione, e offrirsi di fare gratuitamente seminari, seguire laureandi, o offrire le proprie biblioteche all’università. Chi vuole rimanere in ruolo oltre i 70 anni offende la propria università e offende i giovani. Sono sempre stata per un pensionamento rapido, magari non uguale per tutti. Ma non si può tenere il posto e pretendere di rimanere, solo perché è un diritto. Prima di tutto bisogna pensare ai propri doveri. In un momento di sacrifici per tutti, a maggior ragione li devono fare le persone che hanno 70 anni, e che hanno avuto tanto da questo mondo.”

domenica 27 ottobre 2013

Il reato di “opinione ingannevole”





Non so se è sempre stato così e se in ogni tempo si riscopre questo problema. Certo è che oggi assistiamo a questo inquietante fenomeno: in ogni campo, dalla politica alla scienza, dall’arte alla storia, dalla filosofia alla medicina, si ritiene di potere (quando non di "dovere") esprimere la propria opinione.
L’opinione pretende di avere pari dignità della “prova”. Anziché assistere, in presenza di una capacità di raccogliere prove obiettive nettamente superiore al passato, ad un prevalere del dato sul parere, anziché vedere il “fatto” invadere settori che prima parevano appunto patrimonio esclusivo della speculazione, si pretende di eleggere l’opinione a dato oggettivo alla pari con tutti gli altri dati.
Questo atteggiamento priva di validità prima di tutto l’opinione, ancor più che il dato. Un’opinione infatti ha un valore socialmente “accettabile” se è obbligata a basarsi su dati oggettivi. Un’opinione è tale, con tutta la dignità, se pretende di essere fondata. Una volta aperta la strada alla possibilità che sia oggetto di opinione qualsiasi cosa, anche laddove la prova è sotto gli occhi di tutti o è comunque a portata di chi vuole accertarla, l’opinione si svuota di significato, perde il valore propositivo o la forza provocatoria e rinnovatrice che ne faceva la forza. L’opinione esprimibile sempre e comunque è totalmente priva di interesse. In fondo questo atteggiamento impedisce la comunicazione e lo sviluppo di un dibattito, diventa altamente antidemocratico, laddove proclama di voler difendere la libertà di pensiero. La pretesa del diritto di opinione sempre e comunque è una forma laica di integralismo. Altrettanto pericolosa. Per questo ritengo che dovremmo seriamente pensare di introdurre il reato di “opinione ingannevole” che potrebbe recitare così:

“L’opinione ingannevole è qualsiasi opinione che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone cui viene comunicata o che essa raggiunge e che a causa del suo carattere ingannevole possa pregiudicare il loro comportamento ovvero che sia idonea, in quanto ingannevole, a ledere la credibilità del fatto.”

Le persone che, anche occasionalmente (magari telefonando a una trasmissione radiofonica), si rivolgono a un pubblico, spacciando per fatto la loro opinione, anche dichiarando che è un’opinione, sono punite con una pena…

Il negazionismo dovrebbe a pieno diritto entrare nel novero dei reati di “opinione ingannevole”. Non può essere ammessa un’opinione che nega un fatto provato.

Per questo ritengo che la libertà di opinione sia stata chiamata in causa, dai firmatari della lettera contrari all'introduzione di questo reato, totalmente a sproposito, con il solo risultato di  snaturare il significato di entrambi i termini: libertà e opinione.


domenica 4 agosto 2013

Divide et impera: l'università allo sfascio

Una lettera scritta ai colleghi della Macroarea (neologismo che per ora si identifica con la vecchia facoltà) .

Cari Colleghi,
non potendo essere presente al prossimo incontro di Macroarea, mi preme farvi avere il mio, molto modesto, parere a proposito dell’ottica con cui si dovrebbe affrontare il prossimo, difficile, futuro del nostro ateneo.
Mi pare di cogliere una diffusa tendenza al “separatismo” che assolutamente non condivido. I motivi che mi determinano nel ritenere negativo un atteggiamento “divisivo” (vocabolo ampiamente presente nell’attuale gergo politico) sono basati, mi pare, su ragioni puramente storiche. La mia netta sensazione è che nel recente passato tutte queste spinte verso la divisione abbiano portato a una sistematica, continua, pericolosa perdita di “potere contrattuale” dell’Università pubblica nel suo insieme.

Il primo, nella mia memoria, atto separatorio con cui già allora non ero d’accordo, è stato quello della legge sull’autonomia universitaria (168/1989). Allora molti salutarono quest’opportunità come una rivoluzione positiva che avrebbe consentito di gestire le risorse, di denaro e di persone, in modo più consapevole e competente, svincolati dal legame con la burocrazia centrale. Non c’è dubbio che questo avrebbe potuto accadere, ma io ebbi già allora il sospetto che non sarebbe accaduto: nella società i semi che si lanciano danno frutti che dipendono in modo stretto dalla qualità del terreno! (Vi consiglio di rileggere in particolare gli articoli 6 e 7 di quella legge e constatare da soli quanto poco sia rimasto del senso di quella autonomia)
Da quel momento i legislatori, quasi come fossero madri spaventate dal vedere il figlio cresciuto reclamare la propria indipendenza, hanno legiferato senza sosta sull’Università, imponendo in continuazione nuove regole e regolette che rendevano la vita infinitamente più “sotto tutela” del periodo pre-­‐autonomia.
Mi sono chiesta perché e mi sono data la seguente risposta. Nell’Università pre-­‐ autonomia veniva operata una democrazia sostanziale che era imposta dal limitato potere di fatto delle gestioni locali. Per esempio: i Rettori di tutte le università italiane dovevano trovare la capacità di accordarsi per rivolgersi al legislatore e questa necessità imponeva una costante collaborazione e un disegno più ampio. Nel momento in cui è apparsa l’autonomia ogni singolo maresciallo (=rettore) ha ritenuto di avere il diritto di parlare da solo con il generale (=legislatore) e di avere il dovere di cercare di ottenere per la propria truppa (anche a scapito degli altri marescialli e delle truppe altrui) il più possibile. Chiunque abbia mai avuto la gestione di un, anche piccolissimo, potere sa perfettamente che in questa situazione rimanere equidistanti è sostanzialmente impossibile e che il rapporto “personale” gioca un ruolo importantissimo. D’altra parte per contentare gli amici (intesi qui come coloro che sanno più apparire tali) e non scontentare troppo gli altri, la cosa più saggia è limitare tout court, non il potere dei marescialli, a cui questi tengono in sé, ma quello su cui i suddetti possono avere potere. Molto potere su nulla, insomma!! Per concludere la storia dell’autonomia, vi invito a rispondere, nel vostro intimo, alle seguenti domande: i) Da quando esiste l’autonomia universitaria, l’università, come luogo di sviluppo della ricerca e di diffusione della cultura, ha acquistato potere e prestigio? ii) Da quando esiste l’autonomia universitaria gli ostacoli burocratici al concreto svolgimento delle attività di ricerca e di didattica sono sostanzialmente diminuiti? iii) Da quando esiste l’autonomia abbiamo la
sensazione di poter decidere in modo autonomo dello sviluppo scientifico e didattico della nostra università? iv) etc. etc
Io sono sicura che quasi tutti risponderebbero con un irritato NO a tutte queste e analoghe domande.

L’Università è più debole come istituzione e, in parte (forse perché siamo in Italia, ma è qui che siamo), questo si deve all’autonomia o, per dire meglio, al processo “divisivo” che questa ha innescato.
Sono passati più di 20 anni e sulle macerie dell’autonomia, sconquassata da continui interventi legislativi, è atterrata la legge Gelmini.

La legge c’è, ma come tutte le leggi, da che mondo è mondo e in tutti i paesi del globo, è soggetta a interpretazioni. Io credo che noi si abbia il dovere (oltre che il diritto) di interpretare la legge in modo da proteggere l’università dalla sua sistematica distruzione (anche e a maggior ragione se quest’ultima è involontaria).
Tra le cose che la legge prevede c’è un ulteriore (grave, per me) atto “divisivo”: l’autonomia dei Dipartimenti. Credo che si sia capito che non sono favorevole all’autonomia che considero un moderno strumento dell’ impera dividendo. In questo caso però non c’è bisogno di aspettare 20 anni per vedere l’imbroglio. Qualcuno sa su cosa un Dipartimento può ancora esercitare il suo diritto di autonomia?
I fondi sono gestiti centralmente con una filosofia che non ha precedenti né esempi altrove nel mondo. E’ di questi giorni la pretesa di distogliere fondi assegnati con il preciso scopo (soggetto a severa rendicontazione) di svolgere una ricerca, per colmare i buchi di un bilancio su cui noi, destinatari diretti del finanziamento, non abbiamo nessun diritto di controllo. E’ di questi giorni la pretesa di regolare fino al dettaglio lo svolgimento e la programmazione dei corsi di laurea imponendo fino all’ultimo credito da assegnare ai vari settori disciplinari atterrando con incompetenza e senza rispetto su un campo che la Costituzione attribuisce ai docenti. In questo contesto è molto appetitosa l’idea di dividere per imperare (sulle briciole rimaste): più debole è l’avversario maggiori sono le chances di prevaricarlo.
E’ per tutto quanto premesso che sono assolutamente contraria a smantellare l’ultimo baluardo contro questa politica aggressiva: la macro-­‐area. Questo smantellamento, ne sono certa, non riguarderà nella sostanza (se non nella forma) la Facoltà più forti che, ben contente di vederci divisi, ci divoreranno.
Non è facile andare TOTALMENTE controcorrente, ma il mio appello è verso la ricerca di un’unità, da perseguire: per prima cosa all’interno della (ex)Facoltà di Scienze, poi con la (ex) Facoltà di Lettere (altro attore dove non sono presenti le professioni e quindi a noi più affine) e infine a quelle componenti delle (ex?) Facoltà professionali che non si riconoscono in una politica che vedesse indebolito fino all’avvilimento un’importante settore della ricerca e della cultura con cui continuano a esistere processi di travaso fruttuosi e soddisfacenti (penso a Medicina e Ingegneria).
Mi spiace della verbosità, ma credo che dalle nostre scelte di questi giorni dipenda in modo non irrilevante il futuro della nostra Università e non sento di avere il diritto di tacere.
Grazie
Silvia


ps: allego alcuni estratti dale leggi citate
Art. 6 (Autonomia delle università)
1. Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.
2. Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. E' esclusa l'applicabilità di disposizioni emanate con circolare. 3. Le università svolgono attività didattica e organizzano le relative strutture nel rispetto della libertà di insegnamento dei docenti e dei principi generali fissati nella disciplina relativa agli ordinamenti didattici universitari. Nell'osservanza di questi principi gli statuti determinano i corsi di diploma, anche effettuati presso scuole dirette a fini speciali, di laurea e di specializzazione; definiscono e disciplinano i criteri per l'attivazione dei corsi di perfezionamento, di dottorato di ricerca e dei servizi didattici integrativi.
4. Le università sono sedi primarie della ricerca scientifica e operano, per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali, nel rispetto della libertà di ricerca dei docenti e dei ricercatori nonché dell'autonomia di ricerca delle strutture scientifiche. I singoli docenti e ricercatori, secondo le norme del rispettivo stato giuridico, nonché le strutture di ricerca:
a) accedono ai fondi destinati alla ricerca universitaria, ai sensi dell'articolo 65 del decreto del presidente della repubblica 11 luglio 1980, n. 382; b) possono partecipare a programmi di ricerca promossi da amministrazioni dello Stato, da enti pubblici o privati o da istituzioni internazionali, nel rispetto delle relative normative.
5. Le università, in osservanza delle norme di cui ai commi precedenti, provvedono all'istituzione, organizzazione e funzionamento delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio, anche per quanto concerne i connessi aspetti amministrativi, finanziari e di gestione.
6. I regolamenti di ateneo e quelli interni di ciascuna struttura sono emanati con decreto del rettore nel rispetto dei principi e delle procedure stabiliti dallo statuto.
7. L'autonomia finanziaria e contabile delle università si esercita ai sensi dell'articolo 7.
8. La legge di attuazione dei principi di autonomia di cui al presente articolo stabilisce termini e limiti dell'autonomia delle università, quanto all'assunzione e alla gestione del personale non docente.
9. Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono deliberati dagli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei competenti. Essi sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore.
10. Il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illeggitime e quelle da riesaminare nel merito. Gli organi competenti dell'università possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta. In tal caso il Ministro può ricorrere contro l'atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione
amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emante.
11. Gli statuti delle università sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, i regolamenti nel Bollettino Ufficiale del Ministero.
Art. 7
(Autonomia finanziaria e contabile delle università)

costituite
convenzioni.
2. I mezzi finanziari destinati dallo Stato alle università e alle strutture interuniversitarie di ricerca e di servizio sono iscritti in tre distinti capitoli dello stato di previsione del Ministero relativi:

a) alle spese per il personale dovute in base a disposizioni di carattere generale;
b) ai contributi per il funzionamento, ivi comprese le spese per investimento e per l'edilizia universitaria;
c) ai contributi per la ricerca scientifica universitaria.
3. Le somme non impegnate da ciascuna università nel corso dell'esercizio finanziario vanno ad incrementare le disponibilità dell'esercizio successivo, nel rispetto dei vincoli di destinazione previsti nelle lettere a), b) e c) del comma 2.
4. Gli statuti indicano le strutture didattiche, di ricerca e di servizio alle quali è attribuita autonomia finanziaria e di spesa.
5. Le università possono contrarre mutui esclusivamente per le spese di investimento. In tale caso il relativo onere complessivo di ammortamento annuo non può comunque superare il 15 per cento dei finanziamenti a ciascuna università trasferiti ai sensi della lettera b) del comma 2.
6. Per consentire l'analisi della spesa finale e il consolidamento dei conti del settore pubblico allargato il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, con proprio decreto, emanato di concerto con il Ministro del tesoro, fissa i criteri per la omogenea redazione dei conti consuntivi delle università.
7. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le università possono adottare un regolamento di ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, ma comunque nel rispetto dei relativi principi.
8. Il regolamento disciplina i criteri della gestione, le relative procedure amministrative e finanziarie e le connesse reponsabilità, in modo da assicurare la rapidità e l'efficienza nell'erogazione della spesa e il rispetto dell'equilibrio finanziario del bilancio, consentendo anche la tenuta di conti di sola cassa. Il regolamento disciplina altresì le procedure contrattuali, le forme di controllo interno sull'efficienza e sui risultati di gestione complessiva dell'università, nonché dei singoli centri di spesa, e l'amministrazione del patrimonio.
9. Il regolamento è emanato con decreto del rettore, previa deliberazione del consiglio di amministrazione, sentiti il senato accademico, le facoltà e i dipartimenti ed è pubblicato nel Bollettino Ufficiale del Ministero. Il controllo del Ministero è esercitato nelle forme di cui all'articolo 6, comma 9.
10. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti esclusivamente i provvedimenti di
1. a)
b)
da: Stato; vigente; c) forme autonome di finanziamento, quali contributi volontari, proventi di attività, rendite, frutti e alienazioni del patrimonio, atti di liberalità e corrispettivi di contratti e
Le entrate delle trasferimenti
università
sono dello
contributi obbligatori
nei
limiti
della
normativa
nomina, promozione e cessazione dal servizio del personale. Tali provvedimenti sono immediatamente esecutivi, fatta salva la sopravvenuta inefficacia a seguito di ricusazione del visto da parte della Corte dei conti. Dalla stessa data la gestione finanziaria delle università è soggetta, sulla base di consuntivi annuali, al controllo successivo della Corte stessa. La Corte dei conti riferisce al Parlamento con un'unica relazione annuale.
11. Fino alla emanazione del regolamento di cui al comma 7, per ciascuna università continuano ad applicarsi le norme ed i regolamenti vigenti in materia. Per ciascuna università, con l'emanazione del regolamento di ateneo, cessano di avere efficacia le disposizioni legislative e regolamentari con lo stesso incompatibili.
Legge 30 dicembre 2010, n. 240
"Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2011 - Suppl. Ordinario n. 11
TITOLO I
ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO

Art. 1.
(Principi ispiratori della riforma)
1. Le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell'ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica.
2. In attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità. Sulla base di accordi di programma con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di seguito denominato «Ministero», le università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonche' risultati di elevato livello nel campo della
didattica e della ricerca, possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell' articolo 2. Il Ministero, con decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti.
3. Il Ministero, nel rispetto delle competenze delle regioni, provvede a valorizzare il merito, a rimuovere gli ostacoli all'istruzione universitaria e a garantire l'effettiva realizzazione del diritto allo studio. A tal fine, pone in essere specifici interventi per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che intendano iscriversi al sistema universitario della Repubblica per portare a termine il loro percorso formativo.
4. Il Ministero, nel rispetto della libertà di insegnamento e dell'autonomia delle università, indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) per quanto di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale, nonche' con la valutazione dei risultati conseguiti.
5. La distribuzione delle risorse pubbliche deve essere garantita in maniera coerente con gli obiettivi e gli indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti, definiti ai sensi del comma 4.
6. Sono possibili accordi di programma tra le singole università o aggregazioni delle stesse e il Ministero al fine di favorire la competitività delle università, migliorandone la qualità dei risultati, tenuto conto degli indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionale.
Art. 2.
(Organi e articolazione interna delle università)
a) semplificazione dell'articolazione interna, con contestuale attribuzione al
dipartimento delle funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca
scientifica, delle attività didattiche e formative, nonche' delle attività rivolte
all'esterno ad esse correlate o accessorie;
b) riorganizzazione dei dipartimenti assicurando che a ciascuno di essi
afferisca un numero di professori, ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo

determinato non inferiore a trentacinque, ovvero quaranta nelle università
con un numero di professori, ricercatori di ruolo e a tempo determinato
superiore a mille unità, afferenti a settori scientifico-disciplinari omogenei;
c) previsione della facoltà di istituire tra più dipartimenti, raggruppati in
relazione a criteri di affinità disciplinare, strutture di raccordo, comunque
denominate, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività
didattiche, compresa la proposta di attivazione o soppressione di corsi di
studio, e di gestione dei servizi comuni; previsione che, ove alle funzioni
didattiche e di ricerca si affianchino funzioni assistenziali nell'ambito delle
disposizioni statali in materia, le strutture assumano i compiti conseguenti
secondo le modalità e nei limiti concertati con la regione di ubicazione,
garantendo l'inscindibilità delle funzioni assistenziali dei docenti di materie
cliniche da quelle di insegnamento e di ricerca; 

giovedì 1 agosto 2013

Il click



L’indice sospeso per il click. Non ho potuto farlo con leggerezza. Ho colto la morbosità del gesto. Perché dovrei aver voglia di vedere le facce dei morti? Il rispetto della loro sorte vorrebbe che non lo facessi: questo è quello che sento, d’istinto, senza riflettere. Ma poi mi dico che non ha molto senso. Qualcuno, qualcuno a loro vicino, ha fornito quelle foto, ha permesso che venissero messe lì perché qualcun’altro le vedesse. Perché dovrei essere io a decider cosa è meglio? Che diritto ho io che nemmeno so chi sono? E comunque questa mi pare una buona scusa.

Credo che sia la prima volta. Io non l’avevo mai visto prima. Nei cimiteri, nei muri, nei cartelli sventolati dai parenti, sì, ma mai su uno schermo di computer. Non sono una vicina all’altra e tutte contemporaneamente visibili. No, c'è solo la prima e poi, se vuoi vedere la seconda, devi metter giù quel dito, una, due, tre, venti volte, tanti sono i visi che si è deciso di mostrare. Tanti sono i morti di cui ci viene offerta la visione.

Il click è partito. Qualcuno si prenderà la briga di contare quanti click ci sono stati? Certo! Quindi ho fatto crescere il numero di “morbosi”? Conteranno anche quanto ci metto a scorrere le foto? Devo andare lentamente, per rispetto, per dare l’impressione (a chi di grazia?!) di partecipare al dolore. Devo guardarli negli occhi?

Mi sento in colpa. Ma la mia colpa è attenuata dal fatto che la maggior parte di loro non è giovane…né (udite, udite!) bello! Sì, fanno meno pena i morti anziani, è normale, o almeno sembra normale. Ma quelli brutti, perché fanno meno pena? L’istinto, uomini, non lo sottovalutate mai. Vi accalappia, vi convince, vi raggira. L’istinto vuole che si abbia più pena dei belli!


Silvia

venerdì 29 marzo 2013

Diritto di replica


.....

> Non è vero che ti ho scambiato per un altro. Stavo facendo un gioco, lo avevo annunciato, volevo farti vedere che potevo anch’io esprimere rabbia, che ne avevo diritto anch’io. Ma so perfettamente che non credi che Grillo, Bersani e Berlusconi siano la stessa cosa. Non mi sono spiegata bene, presa dall’euforia retorica. 
....

> Non c’è dubbio che tu abbia regione. Nessuno (come dici giustamente tu neanche Grillo) si aspettava questo risultato elettorale. Nessuno, neanche Bersani e questa è sicuramente una sua responsabilità. Un buon politico dovrebbe essere in grado di prevedere questi eventi e dovrebbe avere la capacità di arginarli.
Però confesso che io la soluzione non la vedevo e non la vedo neanche adesso a posteriori. Voglio dire che non sono sicura, anche adesso che abbiamo il risultato in mano, che ci fosse un modo sicuro per cambiarlo. Purtroppo la vita scorre in un verso solo e non ci è dato tornare indietro e vedere come sarebbe andata se avessimo fatto altrimenti. Tu sei sicuro che votando Renzi avremmo vinto? Può darsi. Non capisco bene perché, ma può darsi. Sono d’accordo che Renzi avrebbe forse ottenuto i voti dei più moderati, diciamolo chiaramente dei “cattolici”. Forse è vero. Però l’Ulivo in un recentissimo passato è stato accusato di aver strizzato troppo l’occhio ai democristiani e aver per questo perso tutta la sinistra e quindi aver perso le elezioni. Cosa è cambiato da allora? Non molto mi pare. Allora dovevamo essere più di sinistra ora avremmo dovuto essere più di destra. Può darsi, ma forse il problema è che una coperta sola non basta per tutte queste anime. Personalmente se si deve comunque perdere, preferisco un PD più laico come quello rappresentato da Bersani. Se si deve perdere. Se invece si riesce a vincere, Renzi mi va benissimo, il problema è che non sono sicura che si sarebbe vinto. Purtroppo la sinistra a sinistra del PD è cos’ schizzinosa!
Monti è stato una sorpresa. Non perché improvvisamente abbiamo scoperto che è di destra. Lo abbiamo sempre saputo. Ma io non penso che la destra sia per principio il demonio, penso che sia solo (in teoria, e cioè quando è una destra normale) un modo diverso di vedere il mondo. Diverso dal mio, ma non per questo assolutamente inaccettabile (se è una destra normale). Io credo che sia necessaria l’alternanza, sempre, proprio perché non credo che ci sia da una parte il bene e dall’altra il male. Non l’ho mai creduto, neanche quando ero molto giovane, ora ancora meno. Quindi il “bene” che sta troppo al potere facilmente degenera in male e il “male” ha sempre qualcosa da insegnare. Quindi la destra di Monti andava bene, in quel momento, dato che l’Italia stava per precipitare e la sinistra, più responsabile, sarebbe stata disposta ad appoggiare un governo di destra (una destra normale) mentre la destra (quella anormale che ci è toccata a noi) non avrebbe mai appoggiato un governo di sinistra. Monti avrebbe potuto far capire agli italiani che si poteva correggere una caratteristica, questo sì solamente italiana: la totale assenza di una destra presentabile.
Tu giustamente ironizzi sulla popolarità di Monti.  Si è capito subito (io almeno l’ho capito) che Monti avrebbe fatto perdere consensi alla sua parte, perché stava facendo un gioco sporco che alla destra (normale) che avrebbe dovuto votarlo (la destra “anormale” aveva già il suo leader) non è piaciuto (in un certo senso questa è una cosa positiva, vuol dire che ci sono “normali” elettori di destra e questa è una cosa molto positiva). Se avesse accettato, come io mi aspettavo lo ammetto, di rimanere fuori, il suo movimento avrebbe tolto un po’ di ossigeno alla destra “anormale”. Perché la destra italiana è molto più ideologica della sinistra: tutto, ma proprio tutto, pur di non votare a sinistra, così la pensano molti. Durante il suo mandato Monti però è rimasto sempre sopra il 50% dei consensi con punte bulgare. Il PD è stato preso in contropiede. Avrebbe dovuto prevederlo? Sì, forse sì. Ma devi ammettere che ha sorpreso tutti, ha sorpreso anche coloro che avrebbero voluto sostenere il suo movimento, infatti il consenso nei suoi confronti è precipitato. Si sarebbe dovuto prevedere, ma non era così facilmente prevedibile.
Comunque ammettiamo che si fosse previsto. Verso chi avrebbe dovuto rivolgere le sue attenzioni il PD? Dov’è che non ha guardato? Io non lo capisco. Davvero.

.....

> Lo so che tu non ne fai un discorso generazionale. Tu non lo fai perché sai che è stupido. Il problema è che anche alcuni di coloro che invocano esplicitamente il discorso generazionale sanno che è stupido ed è proprio per questo (più o meno consapevolmente) che lo fanno. La politica è diventata soprattutto la capacità di vendere un prodotto. Dovrebbe esistere, come nella pubblicità, un reato di “politica ingannevole”.
Leggo da Wikipedia e mi diverto a immaginare che dovunque c’è la parola “pubblicità” venga sostituita da “politica”:

“La pubblicità ingannevole (la politica ingannevole) è "qualsiasi pubblicità (politica) che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea a indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico (politico) ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente", articolo 20 del decreto legislativo 206/2005 dell'ordinamento italiano.

Che bello se ci fosse una legge così per la politica! Allora si potrebbe dire a Grillo: scusi, ma lei ha vinto le elezioni dicendo che non avrebbe mai fatto un partito, quindi se non vuole incorrere nel reato di “politica ingannevole” i deputati del suo movimento che non è un partito in Parlamento non ci possono stare. (Sia chiaro, non è che non voglio i deputati M5S in Parlamento, vorrei solo che ci fossero perché hanno accettato di concorrere onestamente, rispettando le regole) Scusi, ma lei ha vinto la concorrenza con lo slogan “una testa-un voto” e ora perchè i suoi (sono suoi? non lo so, ma sembrano suoi) parlamentari non hanno diritto di votare come vogliono? Ecc. ecc. ecc. Lo so, hai ragione, si ha l’impressione che Grillo sia il male minore, che poteva andare peggio, che questi che hanno votato Grillo “non sono tutti così male” e “sennò chissà che avrebbero fatto”.
Io però non capisco, davvero, se non sono così male perché avrebbero dovuto fare chissachè se non ci fosse stato Grillo? Perché non avrebbero potuto fare quello che facciamo io e te e cioè pensare che le cose sono complicate, che un partito deve “contentare” milioni di persone e quindi cercare compromessi, mediazioni, fare politica insomma? Cosa si aspettano adesso? Io sono abbastanza convinta che, se avranno il coraggio di ammetterlo, si renderanno presto conto che se uno vuole davvero fare qualcosa deve mediare. Insomma la misura della loro buona fede si misurerà nei fatti: se bloccheranno tutto o sono stupidi o in malafede, se permetteranno di fare qualcosa, con il PD o contro, saranno avversari o alleati leali.
Comunque, per la cronaca (non la storia: è passato così poco tempo!) quello che ora si dice del M5S si diceva anche (più o meno) della Lega: ha saputo capire il malcontento, anche della gente di sinistra! Ed era vero, come è vero per il M5S. Ma ora come allora, capire il malcontento e cavalcarlo in modo incosciente è una cosa e capire il malcontento e cercare di alleviarlo un’altra. La prima è facile e dà risultati immediati a basso costo, la seconda è difficile quando non impossibile ed è costellata di frustrazioni.
O forse, anche questa è una possibile ipotesi (nel mondo dei se e dei ma ci si può solo perdere!), se non ci fosse stato Grillo il PD avrebbe stravinto e questo potrebbe non piacere a tante persone, tante persone con tanti soldi, tante persone che hanno tanti privilegi da difendere. Grillo pensa che quelli che scrivono sulla rete contro la sua politica distruttiva siano pagati. E se fossero pagati quelli che scrivono a favore?
Ma tornando ai giovani e al giovanilismo. E’ uno slogan facile. E’ lui che parla di giovani, non tu, lo so. E’ lui perchè sa che questo slogan è facile, fa presa, non necessita di pensare. Questa è l’unica analogia che vedo tra lui e Renzi. Io preferirei che si riuscisse a vincere senza “politica ingannevole”. Non so fino a che punto sono disposta a “ingannare” pur di vincere. Forse questo è il mio problema. Però io Renzi lo avrei votato e lo voterei (forse dovrei dire, lo voterò) anche se penso che Bersani sia vittima di una ingiustizia. Sia vittima del fatto che in Italia (ma penso anche nel resto d’Europa) essere onesti (anche nel non propinare “politica ingannevole”) non paga. La serietà non paga e Bersani ha scommesso sulla serietà, così come ho fatto io. Non abbiamo i voti e quindi abbiamo perso, però, in assenza di una palla di vetro, era una scommessa che io mi sentivo di fare. Si poteva vincere. C’è mancato poco (lo so non basta). Ma se avessimo vinto così, con la serietà e l’onestà l’Italia avrebbe avuto una svolta. Sarebbe stata una vera rivoluzione. Con Renzi no. Renzi è il nostro berlusconino, il nostro grillino. Non fraintendermi di nuovo, solo nello stile. Però lo stile conta. Perché lo stile seleziona. Però, siccome la politica è compromesso, checchè ne pensi io, se è necessario che ci sia qualcuno che abbia il coraggio di “ingannare” lo accetterò. Sarò un po’ più triste, ma lo accetterò. Sicura che Renzi (con dietro tutto il PD) è infinitamente migliore sia di Grillo che di Berlusconi e molto molto migliore di Monti.

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> Io non volevo darti responsabilità personali, volevo solo dire che sarebbe stato importante parlare. E’ difficile. Guarda quello che succede a noi due, a te e a me: lunghissime lettere per avere sempre la sensazione di non essere capiti. Non è facile per i dirigenti di un grande partito che ha delle enormi responsabilità capire le esigenze di chi lo vota. Parlare, sempre, farebbe molto bene al PD. Lo so è difficile. Uno pensa di non aver nulla da dire, ma è un dovere provarci. 
Non parlavo della tua posizione personale. Vuoi che non sappia com’è difficile la vostra vita? Ho un figlio della tua età e ti garantisco che ha molte difficoltà. Però ognuno ha avuto le sue. Quando io avevo la tua età c’era il terrorismo, la minaccia di una guerra nucleare, la polizia che faceva volare gli anarchici dalle finestre (vabbè quello era un po’ prima), le bombe nelle stazioni, i mediatori democristiani uccisi dalle BR. Si stava decisamente meglio economicamente (non io come ben sai nostro padre ha deciso di tagliarmi i viveri a metà del percorso universitario, senza nessun motivo, dato che mi sono laureata in 4 anni, era il 1976 e poco dopo mi sono sposata… a 22 anni). Però da questo punto di vista l’atmosfera era migliore, credo. Si vedeva un futuro. Non so come sia per voi (io adesso il futuro non lo vedo più tanto per altri motivi), ma mi sembra che in effetti siate più…tristi!

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> In parte ho già risposto a quello che dici in questa parte, ma voglio dirti che mi sento accusata molto ingiustamente. Io non ho mai demonizzato nessuno. E’ proprio quello che non ho mai fatto e che non mi piace vedere fare (se ti riferisci alla prima parte della lettera era, ripeto, un esercizio retorico). Grillo e i grillini sì invece. Loro sì che demonizzano. E’ questo quello che mi lascia perplessa, anzi che mi fa disperare: come diavolo fanno queste persone a convincere tutti dell’opposto della verità? Loro demonizzano e sostengono di essere demonizzati. Loro non rispettano le regole e accusano gli altri di scorrettezze. Loro faranno molto male al paese portandolo, loro e solo loro, verso nuove elezioni e daranno la responsabilità ad altri. Questo mi fa impazzire.
Vediamo come stanno le cose, oggettivamente. Il M5S non è certo lì per mediare mi pare. Sono anch’io sicura che ci siano anche brave persone dentro (come c’erano nella Lega e ci sono ancora, io credo). Però il loro stile non è molto diverso da quello di berlusconi e co.: “i giornalisti sono tutti contro di noi e noi non ci parliamo” (berlusconi: i giornali sono tutti di sinistra),  “i politici sono una schifezza e noi ripuliremo il parlamento” (berlusconi: noi siamo i nuovi, eletti dal popolo, quello che il popolo vuole) “le regole per noi non valgono e non c’importa nulla che ci debba essere un governo”(berlusconi: il parlamento è una gabbia che ci impedisce di governare),… Non vedi anche tu delle pericolose analogie? Con un’aggravante: Berlusconi era lì per difendere i suo interessi personali, loro credono (alcuni di loro) di essere lì per salvare il mondo (o almeno l’Italia) e questo è molto molto più pericoloso!

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> Vedi che sei tu che demonizzi. Io lo so che Berlusconi è quello che tu dici, ma non riesco a credere di poter descrivere in questo stesso modo tutti i suoi elettori. Non posso credere che un terzo degli italiani (a volte sono stati quasi la metà) siano gangster senza scrupoli. Nemmeno tutti i parlamentari del PDL sono gangster senza scrupoli. Quindi non era Berlusconi l’interlocutore credibile, ma non si poteva non fare i conti con il suo elettorato. Per spostarlo, ma anche perché è giusto non demonizzare l’elettorato della controparte.
Comunque abbiamo già dato: con Berlusconi non si deve parlare, sono stradaccordo (e lo è anche Bersani). Come si fa dunque? Perché ti sembra così negativo che Bersani ci provi? Lui sta facendo il suo dovere. Ha avuto un “ampio mandato” come si dice e fa quello che ritiene (e io, per esempio, sono d’accordo con lui) il suo dovere: provare a non precipitare l’Italia in un baratro. Cercare almeno di fare con questo governo (ci sarebbe un governo di minoranza se Grillo lo volesse) le cose più importanti, i famosi otto punti. Hai notato che anziché concentrarsi sulla validità o meno degli 8 punti tutti dicono che avrebbe dovuto dirli prima? Ma la gente l’ha letto il programma prima del voto? C’erano – credo tutti, ma sicuramente molti – nel programma.

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> Anche qui mi sono spiegata male. Non è sui giovani del M5S che sparo. Volevo dire che ci sono moltissimi giovani anche nel PD (li ho contati, non sono poi molti di più i giovani del M5S di quelli del PD, inoltre nel PD ci sono più donne e il leader è più giovane di quello del M5S). Volevo che a quei giovani venisse dato quello che spetta loro. Anche qui la trovo un’ingiustizia che a un giovane che ha lavorato seriamente, solo perché non parla con arroganza e prepotenza, solo perché fa il proprio lavoro senza considerarsi un eroe non venga attribuito valore. No, non penso che Grillo riuscirà a dirigerli come automi. Non lo pensa nemmeno Bersani. Per questo sta facendo quello che fa. Perché spera e crede che ci sia spazio per un dialogo, nonostante Grillo.

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> Come fai a essere così sicuro? Io non lo ero e continuo a non esserlo. Ci sono i delusi di destra che forse avrebbero votato Renzi (ma perché non hanno votato Monti?) e non sono stati disposti a votare Bersani (ma a me Bersani non mi sembra un pericoloso bolscevico, a te si?) perchè sono convinti che una singola persona (Renzi contro Bersani) faccia la differenza, ma questi, mutatis mutandis, ci sono anche a sinistra. Quindi avremmo perso i voti di quelli di sinistra (anche se Renzi milita nello stesso partito di Bersani, un vero partito, un partito in cui il segretario conta, ma non decide da solo). Sarebbero stati più quelli guadagnati di quelli persi? Non lo so. Io penso di no, ma non lo so.

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> Sì anch’io non vedo tante vie d’uscita se il M5S continua nella sua politica. Però io sono contenta che Bersani ci provi. Non capisco bene cosa ci avremmo guadagnato se si fosse dimesso. Perché avrebbe dovuto dimettersi? Ha la maggioranza alla Camera, è il primo partito d’Italia (ah, Grillo bara, ci sono i dati, non che importi molto, ma è sempre per via della “politica ingannevole”, il PD è il più votato). Perché non si deve dimettere Monti? Berlusconi? E anche Grillo (oops dimenticavo, non si può dimettere, non è ne segretario, né parlamentare). Ma in ogni caso, cosa c’avremmo guadagnato io e te?
Io penso che Bersani deve sfidare i parlamentari del M5S come sta facendo. Gli 8 punti sui quali propone di avere la fiducia sono quasi tutti presenti nel M5S (anche se in modo un po’ più fumoso) e sono assolutamente inaccettabili per la destra. I parlamentari del M5S devono prendersi la responsabilità di mandare di nuovo al voto senza neanche una riforma elettorale. Possono evitarlo. Se non lo evitano la colpa non può essere data a un altro. Non ti pare?

Per concludere: comunque vada a finire, penso che sarebbe nostro dovere continuare a occuparci in prima persona del destino dell’Italia. Quindi ti ringrazio, e non è retorica, per avermi costretta a misurarmi con una visione diversa dalla mia pur provenendo da un background così vicino. E’ importante capire. Cosa ce ne faremo quando e se avremo capito (qualcosa di più)? Non lo so. Ma sono assolutamente convinta che capire sia un passaggio indispensabile, necessario e non sufficiente (come direbbe un matematico).

A risentirci

Silvia